L’obbligazione del professionista, tra responsabilità contrattuale, obblighi di legge e deontologici

di Avv. Monica Totti

Con l’assunzione dell’incarico il professionista si impegna a prestare la propria opera usando la diligenza richiesta dalla natura dell’attività esercitata, dalle leggi e dalle norme deontologiche della professione.

Detti obblighi sono imposti per legge al professionista, che è tenuto all’esecuzione del contratto di prestazione d’opera professionale secondo i canoni della diligenza qualificata di cui l’art. 1176 c.c., comma 2, ossia secondo le regole di comune diligenza e correttezza da valutarsi con riguardo alla natura dell’attività professionale esercitata con la conseguenza che la violazione di tale dovere comporta inadempimento contrattuale, del quale egli è chiamato a rispondere nei confronti del cliente.

Secondo la Corte di Cassazione il professionista nell’ambito della prestazione professionale deve altresì attenersi alla buona fede oggettiva o correttezza. Correttezza intesa, spiega la Suprema Corte con la pronuncia n. 16991 del 20 agosto 2015, oltre che come regola di comportamento, quale dovere di solidarietà fondato sull’art. 2 della Costituzione (Cass., 10/11/2010, n. 22819; Cass., 22/1/2009, n. 1618; Cass., Sez. Un., 25/11/2008, 28056), applicabile a prescindere dalla sussistenza di specifici obblighi contrattuali, in base al quale il soggetto è tenuto a mantenere nei rapporti della vita di relazione un comportamento leale, che si specifica in obblighi di informazione e di avviso, e che è volto alla salvaguardia dell’utilità altrui nei limiti dell’apprezzabile sacrificio.

Tale concetto oltre che regola di interpretazione del contratto (v. Cass., 23/5/2011, n. 11295), deve essere assunto anche quale criterio di determinazione della prestazione contrattuale, costituendo invero fonte di integrazione del comportamento dovuto “là dove impone di compiere quanto necessario o utile a salvaguardare gli interessi della controparte, nei limiti dell’apprezzabile sacrificio che non si sostanzi cioè in attività gravose” Alla luce della suddetta pronuncia, è evidente che nel concetto di diligenza professionale devono essere ricompresi tutti quegli obblighi cosiddetti “integrativi strumentali”, che non sono altro che specificazioni ed estensioni dell’obbligo di prestazione e che cooperano a rendere l’esecuzione dell’attività professionale maggiormente idonea all’attuazione dell’interesse del cliente. Sempre la Cassazione ha precisato sul punto, in riferimento alla figura del  commercialista, che lo stesso ha l’obbligo verso il cliente “di fare tutto quanto è nelle sue possibilità per la realizzazione del risultato pratico che il secondo si prefigge e di esso il codice civile tratta al capo 2^ titolo 3^, libro 5^, dall’art. 2229 e segg., disposizioni codicistiche di cui alle predette norme (artt. 2230 – 2237)”(Cass. Civ. 3 Cass. Civ., Sez. II, 9 novembre 2012, n. 19503), laddove proprio l’art. 2237 c.c. prevede espressamente che il recesso deve essere esercitato in modo da evitare pregiudizio al Cliente.

In proposito, assume rilievo lo standard di diligenza richiesto al professionista qualificato, che non può esaurirsi nell’esecuzione della prestazione in senso stretto, ma ricomprende il compimento di ogni attività, anche successiva, funzionalmente necessaria a rendere utile la prestazione resa nell’interesse del cliente.

Con riferimento a tali questione,  in una controversia avente come parti un commercialista e una Società, il Tribunale di Rimini in una causa patrocinata dallo Studio CMI & Associati, con ordinanza emessa in data 14 dicembre 2023 e pubblicata il 23 gennaio 2023 nel giudizio n. 2790/2023 r.g. ha rilevato, che “l’attività di tenuta della contabilità, a prescindere dalle modalità di condivisione pattuite tra le parti, costituisce attività specializzata, proprio per questo motivo verosimilmente affidata ad un professionista”, specificando che essendo il professionista “in possesso dei documenti che il nuovo professionista per il tramite prima della Società, poi dello scrivente procuratore, chiedeva da ben due mesi, proprio in virtù dei principi di correttezza e di diligenza sopra elencati, avrebbe dovuto consegnarli senza indugio consentendo così al collega di proseguire l’opera, non trattandosi evidentemente di una richiesta che avrebbe comportato attività gravose” concludendo che “ Tale obbligo, pertanto, contrariamente a quanto dedotto dal Giudice del procedimento cautelare, sussisteva ed era rinvenibile nell’art. 4 lett. a) e d) del contratto intercorso fra le parti, evincibile dal disposto di cui all’art. 1176, 2 comma, c.c., e apprezzabile alla luce del principio di correttezza, quale criterio di interpretazione del contratto, oltre che scaturente dai doveri deontologici”.

Alla luce di quanto sopra esposta, può concludersi che, indipendentemente dagli obblighi contrattualmente previsti, il professionista è sempre tenuto a svolgere la propria attività secondo i canoni della diligenza qualificata di cui l’art. 1176 c.c., comma 2, ossia secondo le regole di comune diligenza e correttezza da valutarsi con riguardo alla natura dell’attività professionale esercitata, secondo il generale principio di correttezza, quale criterio di interpretazione del contratto, e., ovviamente, secondo le regole scaturenti dai doveri deontologici.

La violazione di tali doveri comporta inadempimento contrattuale, del quale egli è chiamato a rispondere nei confronti del cliente.

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