Ordinanza n. 6771/2020: il convenuto può “paralizzare” la domanda di pagamento del Curatore con l’eccezione di compensazione ex art. 56 L.F.

di Avv. Carlo Milicia
Per lungo tempo la giurisprudenza della Suprema Corte è stata costante nell’affermare che, ove nei giudizi azionati dal curatore per il recupero di un credito contrattuale del fallito, il convenuto abbia formulato una domanda riconvenzionale diretta all’accertamento nei confronti del fallimento di una contrapposta ragione di credito derivante dal medesimo contratto, entrambe le domande avrebbero dovuto essere trasferite in sede fallimentare nell’ambito del procedimento concorsuale di verifica e accertamento dello stato passivo (Cassazione civile, sez. un., 06/07/1979, n. 3878).
Detta giurisprudenza si imperniava sostanzialmente su due principi di fondo: (i) quello del simultaneus processus di cui all’art. 36 c.p.c. per cui, ove il convenuto non proponga una domanda riconvenzionale tesa soltanto a paralizzare la domanda dell’attore, ma anche a ottenere una pronuncia di accertamento e condanna dell’attore, entrambe le domande derivanti dal medesimo rapporto obbligatorio sarebbero dovute essere conosciute da un giudice unico; (ii) quello di cui all’art. 93 L.F., per cui una domanda di pagamento nei confronti del fallimento avrebbe dovuto essere fatta valere soltanto in sede fallimentare nelle forme di cui alla cennata norma.
Il cennato orientamento è stato tuttavia messo in discussione dalla sentenza n. 148 del 10 gennaio 2003, con la quale la Suprema Corte si è distaccata dall’orientamento suindicato, affermando che nell’ipotesi in cui il debitore convenuto proponga domanda riconvenzionale per la quale operi il rito speciale dell’accertamento del passivo ex art. 93 L.F. e ss., l’intero processo non deve essere traferito in sede fallimentare, ma il giudice ordinario adito dal curatore deve trattenere e decidere la domanda principale (del Curatore) e devolvere, previa separazione dei giudizi, quella riconvenzionale del convenuto, al giudice fallimentare. In questo caso, l’esigenza di garantire “simultaneus processus” di contrapposte ragioni derivanti dal medesimo titolo obbligatorio sarebbe stata comunque garantita mediante l’applicazione dell’istituto della sospensione ex art. 295 c.p.c. rispetto alla domanda principale del Curatore.
Il predetto contrasto è stato oggetto di componimento da parte della nota pronuncia delle Sezioni Unite n. 21500 del 12 novembre 2004, la quale ha superato le divergenze tra i predetti orientamenti stabilendo quanto segue:
(i) “Qualora, nel giudizio promosso dal curatore per il recupero di un credito contrattuale del fallito, il convenuto proponga domanda riconvenzionale diretta all’accertamento di un proprio credito nei confronti del fallimento, derivante dal medesimo rapporto, la suddetta domanda, per la quale opera il rito speciale ed esclusivo dell’accertamento del passivo ai sensi degli artt. 93 e ss. della legge fallimentare, deve essere dichiarata inammissibile o improcedibile nel giudizio di cognizione ordinaria, e va eventualmente proposta con domanda di ammissione al passivo su iniziativa del presunto creditore, mentre la domanda proposta dalla curatela resta davanti al giudice per essa competente, che pronunzierà al riguardo nelle forme della cognizione ordinaria”.
(ii) “Se, dopo l’esaurimento della fase sommaria della verifica, sia proposto dal creditore giudizio di opposizione allo stato passivo o per dichiarazione tardiva di credito ed anche la causa promossa dal curatore penda davanti allo stesso ufficio giudiziario, è possibile una trattazione unitaria delle due cause nel quadro dell’art. 274 c.p.c., ove ne ricorrano gli estremi; possibilità che sussiste anche quando le due cause siano pendenti davanti ad uffici giudiziari diversi, potendo trovare applicazione i criteri generali in tema di connessione, se non si siano verificate preclusioni e sempre che il giudice davanti al quale il curatore ha proposto la sua domanda non sia investito della controversia per ragioni di competenza inderogabile, in quanto la translatio dovrebbe comunque aver luogo nella sede fallimentare”.
(iii) “Qualora non si possa giungere a questo risultato, va verificata la sussistenza dei requisiti per l’applicazione dell’art 295 c.p.c., fermo restando che la sospensione deve riguardare la causa promossa in sede ordinaria”.
In sostanza, secondo detta pronuncia delle Sezioni Unite le pretese creditorie nei confronti del fallito, anche laddove vengano azionate in via riconvenzionale rispetto a domande di pagamento svolte dalla procedura, devono essere fatte valere in sede fallimentare nei modi e nei termini stabiliti dall’art. 93 L.F..
Tale principio, tuttavia, riguarda l’ipotesi in cui il creditore del fallito svolga una domanda di accertamento e condanna del Fallimento al pagamento dell’intera pretesa creditoria nei confronti dello fallito, ma non si applica nella diversa ipotesi in cui il creditore voglia “neutralizzare” la domanda di pagamento del curatore, eccependo in compensazione le proprie ragioni di credito nei confronti del Fallito.
Rispetto a tale ultima ipotesi, la suindicata pronuncia delle Sezioni Unite precisa che “Quanto al diritto del soggetto in bonis di opporre in compensazione (ai sensi dell’art. 56 L.F.) il proprio credito azionato mediante la riconvenzionale con il debito verso il fallimento, si deve osservare che, come la giurisprudenza ha posto in luce, l’eccezione di compensazione può essere validamente proposta nel giudizio di cognizione ordinaria promosso dalla curatela, non essendo soggetta alla procedura di accertamento del passivo in sede concorsuale (Cass., 3 settembre 1996, n. 8053; 6 marzo 1995, n. 2574; 13 maggio 1991, n. 5333; 21 febbraio 1983, n. 1302). Il presunto creditore del fallimento, dunque, non vede pregiudicato o eluso il proprio diritto, perché può paralizzare la domanda della curatela in via di eccezione, salva restando la necessità di adire la sede fallimentare per l’eventuale eccedenza del credito”
I principi processuali che si ricavano dalla predetta pronuncia delle Sezioni Unite, nell’ipotesi di un giudizio azionato innanzi al Giudice Ordinario dal Curatore per far valere i crediti del fallito, sono dunque i seguenti:
(i) è improcedibile/inammissibile la domanda riconvenzionale svolta da convenuto per sentire accertare e dichiarare la sussistenza di controcrediti nei confronti del Fallimento e ottenere, conseguentemente, una pronuncia di condanna nei confronti di quest’ultimo;
(ii) il convenuto può legittimamente svolgere eccezione riconvenzionale di compensazione ex art. 56 L.F. di propri controcrediti nei confronti del Fallito, al solo fine di neutralizzare la domanda di pagamento del Curatore, fermo restando l’obbligo di far valere l’eventuale eccedenza in sede fallimentare.
Quest’ultimo principio, come rilevato dalle medesime Sezioni Unite, già al tempo trovava conforto in numerosi precedenti della Suprema Corte (ex multis, 3 settembre 1996, n. 8053; 6 marzo 1995, n. 2574; 13 maggio 1991, n. 5333; 21 febbraio 1983, n. 1302; 25 novembre 1986, n. 6930; 21 maggio 1984, n. 3113); precedenti successivamente confermati dalla stessa giurisprudenza di legittimità in numerose altre pronunce (ancora ex multis, Cass. 18 dicembre 2017, n. 30298; 7 giugno 2013, n. 14418; 10 gennaio 2012 n. 64; 9 gennaio 2009, n. 287).
Ciò nondimeno, è possibile rinvenire un orientamento contrario, oggettivamente minoritario, che escluderebbe la possibilità di eccepire in compensazione i controcrediti vantati nei confronti del fallito nel giudizio azionato innanzi al Giudice ordinario dal Curatore del Fallimento.
In particolare, la sentenza n. 18691 del 4 settembre 2014 recita quanto segue: “Questa Corte non ignora che, anche nel giudizio promosso dalla curatela per il recupero di un credito del fallito può essere eccepita dal convenuto la compensazione con un proprio credito, non operando il regime speciale per l’accertamento del passivo, atteso che l’eccezione è diretta esclusivamente a neutralizzare la domanda attrice ed a ottenere il rigetto totale o parziale (Cass. 7.6.2013 n. 14418, Cass. n. 15562 del 2011).
Ritiene, tuttavia, di dare continuità all’indirizzo giurisprudenziale affermato da Cass. 27.3.2008 n. 7967 secondo la quale è indiscusso che anche i crediti verso la massa devono essere accertati con il medesimo rito previsto per i crediti concorsuali (Cass. 11.11.1998 n. 11379, Cass. 29.1.2002 n. 1065), perché credito in compensazione non può essere riconosciuta se non in sede fallimentare e, anche quando sia dedotta solo in via di eccezione, presuppone comunque, l’accertamento del debito del fallito”.
Detto orientamento si fonda sostanzialmente sul fatto che la compensazione presupponga comunque l’accertamento del credito e, pertanto, possa essere riconosciuta soltanto in sede fallimentare.
I dubbi che lascia siffatto orientamento sono tuttavia diversi.
In primo luogo, la suindicata pronuncia non pare offrire argomenti sotto il profilo sostanziale e processuale idonei a superare l’orientamento maggioritario della Suprema Corte che riconosce la compensazione ex art. 56 L.F. dei crediti nei confronti del fallito nel giudizio azionato dal Curatore innanzi al Giudice ordinario.
In secondo luogo, il diniego di operare la compensazione innanzi al giudice ordinario, rischierebbe di fatto di frustrare la finalità dell’art. 56 L.F., ovvero di renderne quantomeno eccessivamente onerosa la concreta attuazione sul piano processuale.
Sotto tale profilo, basterebbe evidenziare che, seguendo il ragionamento offerto dall’orientamento minoritario (cfr. Cassazione civile, sez. I, 27/03/2008, n. 7967), ove il creditore del fosse citato dal Curatore innanzi al Giudice Ordinario per il pagamento di somme asseritamente dovute nei confronti del fallito, si troverebbe nella situazione di dover contestualmente agire in sede fallimentare per chiedere l’accertamento dei propri controcrediti e innanzi al giudice ordinario per chiedere la sospensione del giudizio ex art. 295 c.p.c. in attesa della definizione della procedura di accertamento dello stato passivo, per poi riassumere il giudizio in sede ordinaria al fine di far valere l’accertamento ottenuto in sede fallimentare.
E ciò peraltro assume ancor più rilievo se si considera che generalmente il creditore potrebbe non aver interesse a sostenere oneri e costi dell’ammissione al passivo per vedersi riconosciuta sostanzialmente l’eccedenza di un credito chirografario, che residua a seguito della compensazione ex art. 56 L.F. dei propri controcrediti nei confronti del Fallito.
Tanto più che detta compensazione opera ex lege per effetto della sola coesistenza dei debiti, sicché il giudizio (sia esso in sede ordinaria che fallimentare) sarebbe finalizzato esclusivamente a ottenere una sentenza con efficacia meramente dichiarativa (cfr. Cassazione civile, sez. III, 22/10/2014, n. 22324) al precipuo scopo di contrastare le pretese del Curatore.
Senza considerare poi, sempre sul piano processuale, la difficoltà di far valere innanzi al Giudice ordinario un accertamento conseguito in sede di verifica dello stato passivo, accertamento non suscettibile di acquisire efficacia di giudicato (ove il riconoscimento del credito avvenisse nella fase di verifica dello stato passivo).
L’orientamento minoritario sembra poi porre un ulteriore problema di carattere processuale, là dove afferma che in sede fallimentare debba avvenire non solo l’accertamento delle pretese del creditore nei confronti del fallito, ma anche della compensazione (e quindi l’accertamento delle contrapposte ragioni di credito del medesimo fallito: “la compensazione non può essere riconosciuta se non in sede fallimentare”, cfr. Cassazione civile, sez. I, 27/03/2008, n. 7967).
Se così fosse, la riassunzione del giudizio innanzi al Giudice ordinario avverrebbe soltanto per prendere atto della definizione della controversia in sede fallimentare, sottraendo di fatto alla cognizione del Giudice ordinario l’accertamento delle pretese creditorie azionate dal Curatore.
Tale conclusione pare tuttavia porsi in contrasto con il principio, ad oggi consolidato, per cui il Curatore debba far valere innanzi al Giudice ordinario i pretesi diritti di credito rivenuti nel patrimonio del fallito, non trovando applicazione rispetto a detta azione il foro fallimentare di cui all’art. 24 L.F..
Al di là delle suindicate considerazioni dello scrivente, con la recente ordinanza decisoria n. 6771 del 14 febbraio – 10 marzo 2020 – la Suprema Corte è tornata a occuparsi dell’argomento, affermando che: “nel giudizio promosso dal curatore fallimentare (o dal commissario liquidatore dell’impresa in l.c.a.) per il recupero di un credito contrattuale del fallito, il convenuto può eccepire in compensazione, in via riconvenzionale, l’esistenza di un proprio controcredito verso il fallimento, non operando al riguardo il rito speciale per l’accertamento del passivo previsto dagli artt. 93 e ss. legge fall., atteso che tale eccezione – diversamente dalla corrispondente domanda riconvenzionale, il cui petitum riguarda, invece, una pronuncia idonea al giudicato a sé favorevole, di accertamento o di condanna all’importo in tesi spettante alla medesima parte, una volta operata la compensazione – è diretta esclusivamente a neutralizzare la domanda attrice ed ad ottenerne il rigetto, totale o parziale (Sez. 6 – 1, n. 30298 del 18/12/2017, Rv. 647290 — 01; Sez. 1, n. 14418 del 07/06/2013, Rv. 626598 — 01; Sez. 3, n. 64 del 10/01/2012, Rv. 621207 — 01; Sez. 1, n. 287 del 09/01/2009,Rv. 606197 – 01)”.
Anche valorizzando il criterio temporale, sembra potersi affermare che, in attesa di un vero e proprio intervento nomofilattico, l’orientamento della giurisprudenza si sia consolidato nel riconoscere la possibilità per il creditore del fallito di paralizzare la domanda di pagamento svolta innanzi al giudice ordinario dal Curatore, eccependo in compensazione ai sensi dell’art. 56 L.F. dei propri controcrediti nei confronti del fallito.

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