Pubbliche Amministrazioni e transazione

di Avv. Gian Patrizio Cremonini
La decisione della Pubblica Amministrazione di stipulare un accordo transattivo – vale a dire un accordo teso a comporre o prevenire una vertenza mediante reciproche concessioni tra le parti – rientra fra gli ordinari poteri discrezionali afferenti alla gestione dell’Ente e costituisce una scelta di merito di per sé sottratta al sindacato della magistratura contabile, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1 L. n. 20/1994.
Nondimeno, la scelta della P.A. di stipulare un determinato accordo transattivo è comunque soggetta al rispetto dei generali principi di ragionevolezza, efficacia, economicità e trasparenza dell’azione amministrativa ed è pertanto censurabile laddove detti criteri non siano rispettati.
I più recenti arresti in materia sono richiamati dalle deliberazioni della Corte dei Conti – sezione regionale di controllo Lombardia nn. 108/2018 e 65/2020.
Secondo la magistratura contabile, in particolare, la transazione è legittima solo se abbia ad oggetto la soluzione di una controversia giuridica la cui soluzione è incerta, e non un semplice conflitto economico tra la parte pubblica ed il privato che non importi la contrapposizione tra diritti conflittuali. Di conseguenza, il contrasto tra l’affermazione di due posizioni giuridiche è la base della transazione in quanto serve per individuare le reciproche concessioni, elemento collegato alla contrapposizione delle pretese che ciascuna parte ha in relazione all’oggetto della controversia.
La transazione è valida solo se ha ad oggetto diritti disponibili e cioè, secondo la prevalente dottrina e giurisprudenza, quando entrambe le parti hanno il potere di estinguere o rinunciare al diritto per via contrattuale. All’opposto, non è transigibile l’esercizio dell’eventuale potere sanzionatorio dell’Amministrazione e le misure afflittive che ne sono l’espressione, trattandosi di diritti indisponibili ed insuscettibili di negoziazione con la parte privata destinataria di tali misure;
La transazione, inoltre, può avere ad oggetto esclusivamente diritti di carattere patrimoniale e, tra gli elementi che governano la scelta della P.A. di transigere una determinata vertenza, vi è sicuramente la convenienza economica della transazione in relazione al rischio di soccombenza nel giudizio, da valutarsi in relazione alla natura delle pretese, alla chiarezza della situazione normativa e ad eventuali orientamenti giurisprudenziali.
La scelta di transigere o meno una vertenza, infine, deve rispondere a criteri di razionalità, congruità e prudente apprezzamento degli interessi contrapposti, essendo pacifico che l’interesse alla risoluzione di una controversia riguardante uno specifico privato non può prevalere rispetto alla miglior cura dell’interesse concreto della comunità amministrata. In concreto – prosegue la Corte – si deve compiere un’analisi costi-benefici unita ad una valutazione di congruità del risultato economico finale. Trattandosi di una valutazione comunque complessa, che si deve muovere con prudenza su binari tracciati da criteri oggettivi, è bene intervenga una sorta di asseverazione delle scelte assunte da parte degli uffici tecnici, dell’organismo di revisione e, ove possibile, dell’avvocatura. Ciò al fine di evitare che si incorra in un errore di irragionevolezza ovvero in rischi di negligenza, imperizia o imprudenza.
In ultimo, è opportuno evidenziare che l’art. 1.1, L. 14 gennaio 1994 n. 20 prevede un particolare caso di attenuazione per il caso in cui l’accordo di conciliazione intervenga nel corso di un procedimento di mediazione o in sede giudiziale. In tale ipotesi la responsabilità contabile dei rappresentanti delle amministrazioni pubbliche è limitata ai fatti ed alle omissioni commessi con dolo o colpa grave, consistente nella negligenza inescusabile derivante dalla grave violazione della legge o dal travisamento dei fatti.

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