Locazione commerciale: l’indennità di avviamento ex art. 34 L 392/1978, aspetti sostanziali e processuali di rilievo

di Avv. Carlo Mìlicia
L’art. 34 della L. 27 luglio 1978, n. 392 prevede che nelle locazioni di immobili urbani ad uso diverso da quello abitativo, cd. locazioni commerciali, il Conduttore abbia diritto a percepire un’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale in caso di cessazione del rapporto che non sia dovuta a risoluzione per inadempimento o disdetta o recesso del Conduttore o a una delle procedure previste dal regio decreto 16 marzo 1942, n. 267. Detta indennità è pari a 18 mensilità dell’ultimo canone corrisposto; per le attività alberghiere è pari a 21 mensilità.
Ai fini del riconoscimento della cennata indennità devono ricorrere le seguenti condizioni: i) l’esercizio nell’immobile locato di un’attività commerciale caratterizzata da contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori; ii) la cessazione del rapporto di locazione per iniziativa e volontà del locatore, il quale ha comunicato tempestiva disdetta in vista della scadenza del secondo sessennio; iii) l’avvenuto rilascio dell’immobile locato.
Dinanzi a tali condizioni, il diritto all’indennità di avviamento matura automaticamente nella misura prestabilita dalla legge (18/21 mensilità dell’ultimo canone corrisposto).
Dal punto di vista processuale, quindi, il conduttore non è tenuto a provare la sussistenza in concreto dell’avviamento e del danno conseguente al rilascio (ex multis cfr. Cass. n. 15821/2005; Cass. n. 14461/2005; Cass. n. 6876/2003; Cass. n. 2834/2002; Cass. n. 12279/2000). Inoltre, l’indennità è dovuta anche là dove il conduttore, dopo aver rilasciato il bene, continui ad esercitare la medesima attività in un diverso immobile situato nelle vicinanze (cfr. Cass. n. 7992/2009; Cass. n. 11596/2005; v. anche Cass. n. 25911/2013; Cass. n. 12895/2014; Cass. n. 11770/2017).
Il ritardo del rilascio dell’immobile locato non è un elemento ostativo all’insorgenza del diritto all’indennità di avviamento in favore del conduttore, rilevando solo sul piano della esigibilità del pagamento da parte del locatore. Sul punto, la giurisprudenza di legittimità chiarisce infatti che “l’obbligazione gravante sul conduttore di rilasciare l’immobile alla scadenza e l’obbligazione gravante sul locatore di corrispondergli l’indennità di avviamento commerciale sono legate da un rapporto di reciproca dipendenza, tanto che ciascuna delle prestazioni non è esigibile in mancanza dell’adempimento, o dell’offerta di adempimento dell’altra. Ne consegue che gli interessi sulla somma dovuta a titolo di indennità di avviamento commerciale non iniziano a decorrere finché non è avvenuto il rilascio dell’immobile” (Cass. n. 25736/2014; Cass. n. 15876/2013).
Sempre sul piano processuale, è onere del Locatore, secondo i criteri generali di riparto dell’onere della prova ex art. 2697 c.c., eccepire e dimostrare l’esistenza di un fatto “impeditivo” rispetto al diritto del Conduttore di percepire l’indennità di avviamento. In termini concreti, è onere del Conduttore dimostrare che la cessazione del rapporto locatizio è dovuta “a risoluzione per inadempimento o disdetta o recesso del conduttore”, ossia ad una delle tre ipotesi per cui l’art. 34, comma 1 L. n. 392/1978 esclude il diritto all’indennità. In mancanza di tale prova, il Conduttore avrà diritto a vedersi riconosciuta l’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale.
Chiarito che il diritto all’indennità di avviamento sorge automaticamente in tutti i casi in cui la cessazione del rapporto di locazione sia avvenuta per iniziativa e volontà del Locatore, occorre altresì precisare che non rileva in senso ostativo all’insorgenza di tale diritto del Conduttore, l’acquiescenza prestata da quest’ultimo alla disdetta del contratto di locazione, acquiescenza che può estrinsecarsi nella maggior parte dei casi nel rilascio spontaneo dell’immobile.
Non solo, la giurisprudenza di legittimità afferma che il diritto all’indennità sorge anche nell’ipotesi di disdetta nulla o comunque inefficace seguita dalla spontanea liberazione dell’immobile da parte del Conduttore in ottemperanza al rilascio intimatogli. “Ciò perché l’acquiescenza del conduttore all’intimazione di disdetta non può parificarsi al mutuo consenso del locatore e del conduttore allo scioglimento anticipato del rapporto, a sua volta autorevolmente (Corte cost., ord. 20 dicembre 1989 n. 565) assimilato al recesso “ad nutum” ovvero alla disdetta del conduttore. La disdetta “costituisce pur sempre la estrinsecazione di un’iniziativa unilaterale dello stesso locatore, e quindi la cessazione del rapporto è imputabile solo a lui e non anche al conduttore, che si sia limitato a prestare acquiescenza alla disdetta, astenendosi dal farne valere la nullità; (conf. Cass. n. 1230/1997; più di recente, v. anche Cass. n. 20892/2022)” (cfr. Cass. n. 15091/2001; Tribunale Pavia sez. III, 09/10/2023, n. 1200).
L’applicazione di tale principio trova il suo limite soltanto nell’ipotesi in cui il Locatore riesca a comprovare che l’acquiescenza del Conduttore nasconda in realtà il suo sostanziale e assoluto disinteresse a permanere nell’immobile (Cass. 28/11/2009, n. 15091). Soltanto in questo caso il Locatore potrà dimostrare l’assenza di uno dei presupposti indefettibili per l’insorgenza del diritto all’indennità di avviamento in favore del Locatore (cfr. Cassazione civile sez. III, 01/03/2024, n. 5605).

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